La “Storia dei Paladini di Francia”, scritta e pubblicata da Giusto Lo Dico (un maestro elementare) a metà dell'Ottocento, divenne ben presto, e resta tuttora, la “Bibbia dei pupari”; il libro (la chiamavano anche soltanto così: “il libro”) che sistematizzava e metteva nero su bianco quello che fino ad allora era stato affidato esclusivamente alla tradizione orale dei cantastorie (più propriamente “cuntastorie” o “cuntisti”, persone, artisti a volte addirittura analfabeti!, che senza alcun ausilio scenico, sapevano raccontare le loro storie affascinando le piazze di paesi e città).
Nella “Storia” sono narrate le complicate, tortuose vicende che costituiscono il copione della più nota, amata e caratteristica rappresentazione dell'Opera dei pupi siciliani, quelle, per intenderci dei vari Orlando, Rinaldo, Angelica, Ruggiero e compagnia bella. D'altronde, il “pupo siciliano” si identifica col “paladino”.

È un’opera assai ponderosa (circa tremila pagine!) che inizia con la nascita e le primissime gesta di Carlo Magno e termina con la disfatta di Roncisvalle.
Fino agli anni '30-'40 i pupari la rappresentavano, sera dopo sera, nell'arco di un intero anno e il pubblico (un pubblico per lo più costituito dagli strati più poveri della popolazione) la seguiva con straordinaria, passionale partecipazione.

Oggi tutto questo è finito.
I pochi teatri ancora attivi inscenano spettacoli per un pubblico occasionale, per lo più turisti e scolaresche, sulla base di sceneggiature necessariamente adattate alla rappresentazione di un singolo, unico episodio.
A chi fosse curioso di saperne di più, o addirittura di conoscere “tutta” la storia, non resta che procurarsi (non senza qualche difficoltà) e leggere l'opera del Lo Dico.
È quello che sto facendo (introvabili o costosissime le edizioni antiche, ho acquistato i 13 volumi delle edizioni Clio a cura di Felice Cammarata).

Va detto, per sincerità, che la lettura della “Storia” è piuttosto faticosa.
Lo stile e il linguaggio sono ovviamente antiquati. I contenuti, specie per quanto attiene alle battaglie e ai duelli, risultano spesso ripetitivi. L’intrecciarsi delle vicende, la moltitudine impressionante di nomi, luoghi e personaggi, ne rendono difficile la memorizzazione sicché un lettore che voglia essere attento è più volte costretto a tornare indietro o almeno a ricercare nelle pagine precedenti gli elementi che gli consentano di riannodare i fili del discorso.
Un altro elemento caratterizzante la “Storia” è definibile in termini di “ingenuità”. Ne sono esempi lampanti la dimensione iperbolica (un eroe può affrontare e sconfiggere, da solo, centinaia di nemici), e quella soprannaturale (maghi e incantesimi intervengono di continuo). Di storia, nel vero senso della parola, ne resta dunque ben poca, e non è quindi azzardato assimilarla a una fiaba ipertrofica.
Ancora oggi, l'atteggiamento necessario per assistere e godere una rappresentazione dell’Opera dei Pupi è paragonabile a quello di un bambino, lasciandosi andare, cioè, a una regressione in cui, almeno per un’ora, ci si consenta la meraviglia di un’immersione nel fantastico.
Se quanto detto è vero, nel bene e nel male, non c’è da stupirsi se nel terzo millennio la “Storia” scivolerà definitivamente nell’oblio. Chi la leggerà più? Chi la racconterà? Resisteranno, se va bene, quei pochi frammenti che le sparute, singole compagnie continueranno a mettere in scena ripetitivamente per il pubblico dei turisti occasionali.

Nello spirito che anima questo blog (salvare quanto più è possibile il salvabile) mi son detto che forse varrebbe la pena provare a riassumerla, questa “Storia”. Un’impresa titanica, lo so, e di cui io per primo devo dubitare: per quanto riuscirò ad andare avanti? E cosa ne verrà fuori? Servirà? E a cosa?
Troppe domande… meglio cominciare subito!

Avvertenza: l'impaginazione automatica dei post è tale per cui, nell'ordine, troverete prima l'ultimo pubblicato e via via i precedenti. Numero i post in modo da facilitarne la lettura sequenziale

giovedì 26 febbraio 2009

5 - Altre vicende di Milone e prime imprese di Orlandino

A Risa Milone addestra i figli di Rampaldo, e capisce appieno la terribile forza di Ruggiero e la viltà di Beltramo che, essendo il primogenito, è destinato a succedere al padre. Un giorno, per bocca di un musicante reduce dall’Africa, Milone viene a sapere che laggiù l’imperatore di Libia Agolante sta arruolando guerrieri per muovere contro il ribelle Re Salatiello. Voglioso di farsi onore, Milone si imbarca per l’Africa e giunto a Biserta si presenta col nome di “Sventura” al gran generale Balante, uomo magnanimo e di gran valore. Questi lo arruola dicendo: “fra noi si ama il valore, e poco si guarda se sia greco, turco, moro o cristiano, ma qualsia più valooroso sarà con ragione più onorato”.
Nello scontro fra i due eserciti, Milone dà prove impressionanti del suo valore e il Re Salatiello, vinto, giura obbedienza ad Agolante.
Agolante decide allora di espandere ulteriormente il suo regno; arma un ancor più potente esercito e marcia sull’Asia sconfiggendo il Re di Persia Soldano mentre i suoi figli, Troiano ed Almonte, assalgono la Turchia e l’Assiria. Infine, riuniti gli eserciti, conquistano Tartaria.
La fama e l’onore di Milone (sempre nominato “Sventura”) volano oltre ogni misura ma egli, memore dell’infelice Berta e dell’esilio, non può che essere triste.

Orlandino, intanto, cresce bello e selvatico, nei boschi limitrofi a Sutri, dimostrando fin d'ora coraggio e forza inusuali. Un giorno incontra un povero dal quale viene a sapere che in città si può mendicare e ottenere cibo. Recatosi in città, entra nelle grazie di un generoso mercante e così, nei mesi successivi, provvede a rifornire di cibo la madre e la sua dama.
In occasione dell'annuale festa in cui i fanciulli, divisi in due bande (i nobili da una parte, i figli dei mercanti dall'altra), provavano il loro valore, i figliuolo del mercante, consci della forza di Orlandino, gli propongono di essere il capo della loro brigata. Nello scontro Orlandino riporta una schiacciante vittoria e riduce a malpartito il capo dei nobili, Oliviere, che è il figlio del governatore di Sutri, Reniere.
Costui, interrogando Orlandino, scopre che il giovanetto è figlio di Milone e Berta e che costei vive in estrema povertà nelle campagne limitrofe a Sutri. Non volendo incorrere nell'inimicizia di Carlo, Reniere prende comunque a ben volere Orlandino e da allora in avanti provvede al sostentamento di Berta.
Di lì a poco, su invito del Papa Leone, che in lui vuole identificare il difensore della Cristianità, Carlo si reca a Roma e viene incoronato imperatore.
Sulla via del ritorno, si ferma a Sutri, ospite di Reniere.
Orlandino, aggirandosi per il paese, resta affascinato dalle armature lucenti dei paladini. Narra quindi alla madre e questa, sbalordita e terrorizzata dalla notizia, cerca di metterlo in guardia dicendogli che quel potente li ha in odio.
Ciò, anzicchè intimorirlo, accende vieppiù la curiosità e l'ardimento di Orlandino che, ignaro di qualsiasi ostacolo e soggiogato dalla magnificenza del mondo che ruota attorno all'Imperatore e di ciò che si dice di lui, giunge addirittura a intrufolarsi a palazzo e a rubare la tazza di Carlo dalla sua mensa per poi dileguarsi come un lampo.
Anzicchè adirarsi, Carlo è divertito da questa birichinata. Ugieri e il Duca Namo, invece, si interrogano su chi sia quell'ardito giovanetto e vengono segretamente ragguagliati da Reniere sull'identità di Orlandino, le condizioni di Berta e la perdurante mancanza di notizie relative a Milone.
Il dì seguente, all'ennesima scorribanda di Orlandino alla mensa reale, Namo, Ugieri e Salamone, per incarico di Carlo, lo seguono e raggiungono la grotta ove dimora Berta. Qui la donna svela ai tre paladini la propria identità. Abbracciatala, essi giurano di adoperarsi per il meglio e infatti, grazie alla saggia mediazione del duca Namo, Carlo accoglie la sorella e il nipote e manda messi in tutto il mondo per diramare la notizia del perdono di Milone. Infine, tutti insieme, fanno trionfale ritorno a Parigi.

Milone, intanto, dimora ancora a Biserta. Qui viene riconosciuto da un messo che lo informa del perdono di Carlo e delle ultime vicende di Berta ed Orlando. Egli nega di essere Milone, ma il re Subrino, fido di Agolante, origliata la discussione, resta sospettoso.
Nel frattempo, intenzionato a raggiungere Milone per portargli la buona novella, Ruggiero di Risa, figliuolo di Rampaldo che in passato lo stesso Milone aveva introdotto alle armi, parte per l'Africa. Giunge nella città governata da Guarniere, fratello maggiore di Agolante, celando la propria identità con un'armatura da pagano e il nome di “Scacciato”. E' qui che si innamora, ricambiato, della bella Claudiana (figlia di Guarniere) e prolunga la sua permanenza in quella città.
In onore di Ruggiero, Guarniere decide di organizzare una giostra invitando a parteciparvi molti cavalieri della corte di Agolante e fra essi un prode francese (che Ruggiero intuisce essere Milone).
La giostra non si terrà: nel volgere di poche ore, Ruggiero dichiara il suo amore a Claudiana (che subito si converte al Cristianesimo) e le promette di fuggire con lei per condurla a Risa, mentre Milone, la cui identità è stata ormai scoperta, è fatto arrestare da Agolante che, nonostante i gloriosi trascorsi, lo condanna a morte per vendicare l'uccisione del fratello per mano di Carlo (si riferisce a Bramante, ucciso da Carlo a Saragozza).
Ruggiero, a questo punto, nonostante che Claudiana sia nel frattempo rimasta incinta, rimanda il suo progetto e piomba a Biserta dove dimostrando valore e forza estremi, libera Milone per subito condurlo con una nave in Italia.
Lì i due separano le loro strade.
Milone si incammina verso Parigi dove si ricongiunge finalmente con Berta e col figlio Orlando e viene riaccolto con grandi onori da Carlo che lo nomina gran capitano di tutto l'Impero. Ruggiero, intanto, fa ritorno in Africa e qui, sotto le spoglie di un mendicante, raggiunge la città di Guarniere che trova deserta essendosi tutti i cavalieri concentrati a Biserta. Gli è facile, dunque, portare con sé Claudiana e riimbarcarsi per l'Italia.
Durante il viaggio, però, in seguito a un attacco dei pirati e ad una tempesta, Claudiana si perde in mare e Ruggiero, disperato, fa naufragio sulle coste della Sicilia e da qui fa ritorno a Risa.
Claudiana, raccolta in mare da un mercante armeno, viene da questi ospitata e dà alla luce Cladinoro (che sarà dunque fratellastro di Ruggiero dell'Aquila e di Marfisa e diverrà anch'egli paladino)

Guarniere, voglioso di vendetta, parte alla volta dell'Italia. Sottomette la Sicilia e marcia su Roma in difesa della quale, nel frattempo, si precipita l'esercito di Carlo agli ordini di Milone, con Ugieri e Namo, Buovo ed Amone.
Lo scontro, violentissimo, si conclude con la vittoria dei Cristiani e l'uccisione di Guarniere per mano di Milone.

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